I Chakra: punti nella mappa di Sé
Tra esoterismo e tradizione
Al giorno d’oggi, quando si pensa ai chakra, viene subito in mente la cultura New Age anni ‘60, responsabile, ad esempio, dell’associazione di ciascun chakra a un colore dell’arcobaleno. Si tratta di un’idea molto “occidentalizzata” di un concetto che, in realtà, viene espresso per la prima volta nei Veda (2000 a.C. ca.), e che viene poi ripreso sia nelle Upanishad dello Yoga (600 a.C. ca.), che negli Yoga Sutra di Patanjali (200 a.C. ca.).
Il Raja Yoga di Patanjali appartiene alla tradizione dualistica dello yoga (inteso come darshana, o scuola di pensiero induista) perché, essendo “la via regale di unione con dio”, presuppone che questo dio, o più in generale “spirito” (purusha), sia separato dall’essere umano, o “materia” (prakriti), per poterli riunire come fine ultimo, trovando così la liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite.
I chakra, tuttavia, trovano piena realizzazione nella tradizione non dualistica della filosofia yoga, di cui il Tantra, o Tantrismo, fa parte. Il movimento tantrico, infatti, nasce in risposta alla rigidità del Brahmanesimo e della cultura vedica, e riporta l’attenzione al corpo quale mezzo per raggiungere la liberazione. Di origine tantrica è la tradizione dell’Hatha Yoga, che aggiunge la componente fisica al Raja Yoga attraverso gli asana, le mudra e i bandha, e che rappresenta “la via celere” per l’ottenimento della beatitudine (samadhi) proprio perché influisce sia sulla mente che sul corpo, e non solo sulla prima.
Il non dualismo, o advaita, sostiene che la separazione tra prakriti e purusha sia soltanto un’illusione (maya), e che l’essere umano abbia già in sé il divino, per questo non deve ricongiungervisi, ma semplicemente riscoprirlo. A questo proposito, l’Hatha Yoga, che letteralmente significa “unione (yoga) di sole (ha) e luna (tha)”, viene indicato come tecnica che, tramite la purificazione e il riequilibrio del corpo (sia fisico che sottile), risveglia la nostra coscienza più pura, e quindi il divino che è già in noi.
Il corpo è la casa dello spirito; lo Hatha Yoga è la tecnica per ripulire la varie stanze e metterle in ordine. – Gilda Giannoni
Il principale testo su cui si basa la nostra conoscenza occidentale dei sette chakra fondamentali risale al 1919 ed è “Il potere del serpente” di Arthur Avalon, pseudonimo di Sir John Woodroffe, orientalista britannico che tradusse i testi tantrici sull’argomento.
Il corpo sottile (o yogico)
Per capire cosa siano effettivamente i chakra, bisogna prima parlare di anatomia sottile. Partendo dall’esperienza sul corpo fisico, l’Hatha Yoga ci permette di “accorciare la distanza” che, dentro di noi, separa la nostra sfera individuale dalla totalità della dimensione divina. Come? Penetrando attraverso i diversi strati di cui siamo fatti, dal più superficiale (il corpo fisico), al più profondo (il corpo sottile).
In questo contesto, i chakra, insieme alle nadi (canali), al prana (energia), e ai vayu (correnti), sono i principali componenti del corpo sottile (sukshma), a sua volta formato da tre guaine (kosha) che corrispondono a energia, mente e intelletto: rispettivamente, pranamaya kosha, manomaya kosha e vijnanamaya kosha.
In particolare, pranamaya kosha, composto dal prana, è la sede dei chakra, e tiene uniti il corpo e la mente. I chakra, infatti, pur non essendo entità fisiche, sono proprio visti come punti di intersezione tra corpo e mente, e, in virtù di questo, hanno potere ed effetto su entrambi; ad esempio, possono influenzare il respiro, il battito cardiaco e il metabolismo, ma anche l’umore, i pensieri e la conseguente attitudine alla vita.
I chakra (letteralmente ”ruote”) sono centri di attività per la ricezione, l’assimilazione e la trasmissione dell’energia vitale, o prana.
Se, per un attimo, proviamo a calarci nei panni degli antichi tantrìka o hatha-yogi, forse ci è più facile capire l’esigenza di individuare dei punti specifici, vagamente corrispondenti a delle parti anatomiche del corpo, che ci aiutino a visualizzare e spiegare qualcosa che è invisibile agli occhi, come lo sono il prana e i chakra. Possiamo considerare questi ultimi come delle “pietre miliari nella mappa di sé” che servono per orientarsi nel proprio cammino di crescita personale e spirituale.
Via libera a Kundalini
Nel Goraksha Shataka, uno dei primi testi di Hatha Yoga dell'XI-XII secolo, attribuito al saggio Goraksha, viene usata la metafora della casa per descrivere il corpo: la colonna vertebrale rappresenta l’asse portante della casa, e le nove aperture (occhi, orecchie, narici, bocca, ano e genitali) sono le nove porte di questa casa. Il focus sulla colonna vertebrale, e in particolare sulla sua mobilizzazione, è ciò che distingue lo hatha yoga dalla normale ginnastica, che invece è volta al rafforzamento muscolare.
Il corpo yogico in un'illustrazione da un manoscritto del XIX secolo, India. (Wikipedia)
I sette chakra fondamentali sono disposti proprio lungo la spina dorsale, nei punti di congiunzione delle nadi Ida e Pingala, che si intrecciano a spirale lungo la nadi centrale Sushumna. In quanto canale principale attraverso cui scorre il Prana vayu (soffio vitale identificabile con l’inspirazione), Sushumna sale dalla base della colonna vertebrale e va dritta al terzo occhio. Ida, che inizia e termina sul lato sinistro del corpo fisico (narice sinistra), è il canale definito “lunare” per la sua energia calmante e rinfrescante che stimola il sistema nervoso parasimpatico, mentre Pingala, che inizia e termina sul lato destro del corpo fisico (narice destra), è il canale detto “solare” per la sua energia forte e attivante che stimola il sistema nervoso simpatico.
Ida è associata all’energia femminile, mentre Pingala a quella maschile. Solo trovando un perfetto equilibrio tra il maschile e il femminile che sono in noi – che poi è il fine ultimo del tantra bianco e dell’Hatha Yoga – allora il prana si innalza lungo Sushumna sotto forma di energia Kundalini Shakti, ed è possibile raggiungere una condizione di beatitudine estatica.
Questo stato di perfetto equilibrio si raggiunge quando l’energia è libera di fluire in modo bilanciato attraverso Ida e Pingala, ovvero quando le nadi sono sbloccate, e siamo consapevoli del movimento del prana.
Ma non solo le nadi devono essere aperte: anche i chakra, che sono come dei varchi lungo Sushumna, devono essere aperti per permettere all’energia di attraversarli. Nei testi tantrici si parla di chakra bedhana, o “perforamento” dei chakra, oggi tradotto appunto come “apertura” dei chakra. Le pratiche dell’Hatha Yoga tradizionale avevano questo come obiettivo, assimilabile allo scopo del moderno Kundalini Yoga.
I chakra, dopo tutto, sono simboli, e come tali possono servire da supporto all’immaginazione per portare l’attenzione a determinate aree del corpo fisico e ottenere così degli effetti anche sul piano energetico.
Alla base della colonna vertebrale, in corrispondenza del perineo, si trova Muladhara, il chakra della radice. È legato al senso di sopravvivenza e all’elemento terra.
Nel basso addome, alla base degli organi genitali, si trova Svadhisthana, il chakra del plesso sacrale. È legato alle emozioni e all’elemento acqua.
Alla bocca dello stomaco, più o meno a livello dell’ombelico, si trova Manipura, il chakra del plesso epigastrico. È legato alla volontà e all’elemento fuoco.
Al centro del petto, si trova Anahata, il chakra del cuore e dei polmoni. È legato all’amore e all’elemento aria.
Alla base della gola, si trova Visuddha, il chakra della gola. È legato alla comunicazione e al suono.
Sulla fronte, tra le sopracciglia, si trova Ajna, il chakra del terzo occhio. È legato all’intuito e alla luce.
Sulla sommità del capo, si trova Sahasrara, il chakra della corona. È legato alla comprensione e al pensiero.
Kundalini Shakti, cioè l’energia o potenziale energetico latente che “riposa” in ognuno di noi nel Muladhara, arrotolata per tre volte e mezza attorno al Shiva lingam (forma fallica), aspetta solo di essere risvegliata attraverso il movimento consapevole del prana, per elevarsi lungo Sushumna, nell’intento di ricongiungersi con Shiva, il quale, a sua volta, discende verso di lei.
Tutto ruota intorno ai due principi, maschile e femminile, rappresentati dal dio Shiva e dalla dea Shakti, presenti in ognuno di noi e interdipendenti l’uno dall’altro. Dalla loro fusione, secondo la mitologia induista, ha origine l’universo. Il microcosmo all’interno di noi stessi, che altro non è che il riflesso del macrocosmo al di fuori di noi, è pervaso da un misto di femminile e maschile, di energia e coscienza: è l’energia che sale verso la testa, ma è la coscienza che si dipana man mano che si “perforano” i chakra.
Gli ostacoli sul percorso
Come si può ben immaginare, l’ottenimento dell’equilibrio perfetto, il risveglio di Kundalini e il conseguente raggiungimento del samadhi, sono concetti molto più semplici a dirsi che a farsi. È interessante vedere questo percorso come una metafora dell’evoluzione umana, intesa come passaggio da un stadio di consapevolezza all’altro, di cui il sistema dei chakra può rappresentare sette livelli differenti di coscienza a cui l’essere umano può aspirare.
Ma, come in tutte le storie che si rispettino, non è possibile per il “nostro eroe” non incontrare alcun ostacolo sulla via. Oltre ai possibili sbarramenti rappresentati da chakra o nadi bloccati, l’energia Kundalini deve anche attraversare i granthi, termine che indica dei “nodi”, o “cancelli”: Brahman Granthi, Vishnu Granthi, e Shiva (o Rudra) Granthi. Il nodo di Brahman è situato nel Muladhara chakra (1°), il nodo di Vishnu in Anahata chakra (4°), e il nodo di Shiva in Ajna chakra (6°). Il fatto che ciascun granthi corrisponda a un chakra è spiegabile proprio dal punto di vista evolutivo: l’essere umano, per sciogliere metaforicamente questi nodi, uno dopo l’altro, e permettere così a Kundalini di risalire senza ostruzioni, deve compiere un salto di consapevolezza che ha a che fare con le qualità del chakra di riferimento.
Questo grande sforzo, però, può essere aiutato da una tecnica propria dell’Hatha Yoga: i bandha. Traducibili con “sigilli”, i bandha sono delle contrazioni muscolari del corpo fisico che hanno la funzione di trattenere la circolazione del prana nel corpo sottile. Anch’essi sono tre, e corrispondono più o meno ai granthi e ai rispettivi chakra: Mula bandha si trova nel perineo (1°), Uddiyana banda si trova nell’addome sopra all’ombelico (3°), e Jalandhara bandha si trova nella gola (5°). Secondo la tradizione tantrica, tramite la chiusura dei bandha si stimola l’apertura dei granthi.
Se ritorniamo all’immagine dell’essere umano come microcosmo, risulta forse più semplice capire il perché di questa necessità di trattenere le energie maschili e femminili, Shiva e Shakti, all’interno del corpo. L’obiettivo dell’Hatha Yoga è di riscoprire la totalità del divino che è in noi, e per farlo dobbiamo attuare una serie di pratiche, anche molto complicate, che dalla sfera fisica ci aiutano ad andare via via più in profondità: di certo non vogliamo disperdere queste energie al di fuori di noi!
Eppure, per natura, una delle cinque correnti del corpo sottile, Apana vayu, assimilabile all’espirazione, si muove verso il basso e verso l’esterno, e, nonostante sia utile per l’eliminazione dei rifiuti, sia fisici che psichici, essa disperde anche il liquido seminale (Shiva) e il sangue mestruale (Shakti), impedendo così l’incontro dei due principi maschile e femminile all’interno del corpo. Per questo, col blocco di mula bandha in basso e il blocco di jalandhara bandha in alto, prana e apana vayu, le due correnti opposte, si incontrano al centro all’altezza dello stomaco, dove vengono definitivamente bloccati da uddhiyana bandha. Così facendo, si ottiene una sorta di sospensione delle energie interiori che vengono “bruciate” dal fuoco digestivo Agni, elemento di Manipura chakra, e si percepisce una sensazione di forte vigore, ma anche di equilibrio e purificazione.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto finora, la pratica dell’Hatha Yoga tradizionale sembra qualcosa di estremamente difficile da perseguire, per non dire impossibile (o, se si pensa all’inversione dei fluidi, addirittura non auspicabile!), soprattutto nel contesto della nostra società occidentale contemporanea. Bisogna ricordare, però, che le istruzioni che troviamo nei testi antichi non sono da seguire alla lettera, anche perché, nella maggior parte dei casi, si tratta più di metafore che di veri e propri precetti. Ciò non toglie, tuttavia, al valore di questi insegnamenti: sta alla nostra intelligenza e sensibilità decidere quali e come applicare al nostro personale percorso di crescita.
Vorrei concludere con un’ultima riflessione: questa ricerca mi ha fatto realizzare ancora di più l’importanza del compito dell’insegnante (occidentale) di yoga ai nostri giorni. Come tali, abbiamo l’onore e l’onere di farci portavoce della saggezza di una civiltà e di una cultura che non ci appartengono direttamente, ma che rappresentano l’altra faccia della medaglia dell’umanità; un modo alternativo di interpretare l’esistenza e, sopratutto, di trovare un senso alla vita dell’essere umano, tramite concetti che, in fondo, sono comuni a tutte le culture, e che continuano a servirci.
Fonti
In ordine alfabetico:
Anodea Judith, Chakra ruote di vita, capitolo 1.
Dharma Kaur, I tre Granthi: i nodi che bloccano l’energia, articolo.
Gilda Giannoni, I testi dello hatha-yoga podcast, episodi 01, 04, 05.
Gilda Giannoni, Mistica e crescita personale, articolo.
Mark Stephens, L’insegnante di yoga – le tecniche e le basi, capitoli 1 e 3.
© 2024 Laura Berti – The Yoga Foundation II